Angela Madesani, “Memoria e cancellazione nei recenti lavori di Roberto Rizzo”

Testo nel catalogo della mostra Painting the Present, Barbara Behan Contemporary Art, Londra / Grossetti Annunciata Arte Contemporanea, Milano, Ottobre 2005

Uno degli aspetti più affascinanti della ricerca di Roberto Rizzo, il cui lavoro seguo ormai da alcuni anni con interesse, è la componente teorica. Di rado i giovani artisti italiani – prima l’abitudine era più diffusa – sentono il bisogno di scrivere, di spiegare, di proporre riflessioni, anche a ampio raggio, sulla loro ricerca.
Rizzo rifugge dalle facili categorizzazioni, dai gruppi, come altri della sua generazione, piuttosto il suo è un tentativo di tendere un ponte tra il passato, che emerge chiarissimo nel suo lavoro, il presente, che non è certo fatto di sola pittura e quindi il futuro. Mi è parsa in tal senso interessante la mostra L’esperienza dell’arte, curata da Maria de Corral, una delle due grandi mostre che costituiscono l’ultima Biennale di Venezia. La curatrice ha, infatti, posto accanto ai video, alla fotografia, la pittura non figurativa di Agnes Martin, di Bernard Frize, ma anche quella di Francis Bacon in un insieme il più delle volte armonioso.
Pensare di misurarsi oggi con la pittura è, a maggior ragione, complesso e difficile. Non si può pensare di continuare a percorrere binari e cammini già battuti. In tutto questo non vi è tuttavia l’ansia spasmodica di un nuovo effimero, della trovata. Piuttosto il tentativo di raggiungere una dimensione che vada al di là dell’immanenza e che riesca a collegare la memoria e di conseguenza la cancellazione con la riflessione contemporanea. Mo2 è il titolo di uno dei dipinti esposti in mostra, un omaggio a Giorgio Morandi, un pittore in cui la figura, uguale a se stessa da un punto di vista della scelta dei soggetti nel corso degli anni, in realtà diviene veicolo privilegiato per un discorso sull’astrazione e sulla purezza della pittura.

A proposito di Deposizione¹ del 1998, una grande opera a mio giudizio particolarmente significativa, Rizzo ha scritto, fra l’altro: «La dimensione riflessiva, nella Deposizione, è fondamentale, perché solo questa può permettere all’opera di allacciarsi a ciò che è stato creato e pensato nel passato e a quanto lo sarà nel futuro. La dimensione rappresentativa, contingente ad un periodo storico, è in questo caso complementare all’altra, perché riconferma la presenza di questa attraverso l’elemento iconografico. In questo modo la Deposizione può rivelarsi come “pittura”, senza ridursi a strumento di rappresentazione, e per questo sacrificare la propria natura indipendente. L’immagine che evoca il tragico momento si riflette  nel processo pittorico che la esprime».
Mi pare che Rizzo riesca a superare la dimensione rappresentativa proprio attraverso la pittura, considerata l’elemento rappresentativo per eccellenza in ambito artistico. L’operazione in questione si snoda lungo la parabola articolata della storia dell’arte. Nella tarda Pietà di Tiziano dell’Accademia di Venezia, per esempio, opera amata e studiata da Rizzo stesso nel corso degli anni, è lo sfaldamento, la non definizione del colore, che tuttavia, riesce a trovare una totalità. In tal senso, nei grandi dipinti, in molti casi viene a crearsi una sorta di monocromia di fondo, che va ben oltre il puro processo mentale. Monocromia, dunque, non come stesura di un unico colore, ma come risultato di un processo tecnico, manuale, mentale. Nelle sue opere è la teoria, ma anche il sentimento, l’impeto.
Ogni dipinto è costituito da una zona interna, viscerale, drammatica, intesa nell’accezione greca del termine, luogo di rappresentazione, di accadimenti in senso fenomenico, circondata da una zona monocroma più riflessiva intorno, esito di viaggi mentali talvolta automatici, costituiti dalla sovrapposizione di diverse velature di colore.
Ogni suo quadro è regolato, educato, come se volesse creare una separazione. Le parti sono dipinte disgiuntamente. Per far questo crea una sorta di recinto, delimitato dal nastro adesivo di carta. Come per porre un limite in una sorta di rituale sacro ritmato dalle stesse azioni. La sua è una pittura intima, dando alla parola un’accezione positiva di profondità e di pienezza.
Rizzo, come già detto, si pone nella condizione di accettare delle regole. In primis quella del quadro stesso come superficie su cui operare, accettandone i limiti spaziali. Ha il coraggio di prendere posizione nelle diverse situazioni, di fare delle scelte. Così anche il rapporto con il passato non è accettazione passiva, piuttosto scoperta continua che dà vita a un rapporto dialettico di confronto al di là del tempo.
Il suo è un bisogno di libertà anche artistica che lo porta ad andare ben oltre i confini restrittivi di una pratica pittorica prevedibile, di un percorso già scontato. I suoi sono quadri, ma anche televisioni dipinte, in cui appare un’immagine che riporta ad altre situazioni.
La sua è una risposta molto personale a quanti affermano che la pittura oggi è morta. La pittura non è morta, solo deve guardarsi intorno, tenendo in considerazione le altre espressioni, gli altri linguaggi. Così come era già stato fatto nel momento della grande rivoluzione iconografica apportata dalla fotografia nella prima parte del XIX secolo.
Una volta uscita dallo studio dell’artista l’opera prende un cammino proprio, così Mark Rothko, negli occhi e nel pensiero di chi la guarda. Tutto ciò non in una lettura per forza evolutiva, ma di trasformazione delle cose che possono cambiare forma, immagine, proprietà.

 

1. Deposizione è un’opera del 1998 che si ispira al tema della “Deposizione dalla Croce”, in particolare alla pala di Rosso Fiorentino del 1521 (Volterra, Pinacoteca) e al dipinto di Rembrandt del 1632 (Monaco di Baviera, Pinacoteca).