Angela Madesani, “Astrazione zero”
Testo¹ nel catalogo della mostra Astrazione Zero, O’Artoteca, Milano / Cascina Roma, San Donato Milanese / Palazzo Piacentini, San Benedetto del Tronto, Marzo 2002
«È da quando ho saputo che sarei diventato cieco che ho cominciato a amare la pittura»².
La mostra nasce dalla volontà di sondare il terreno della nuova astrazione in Italia. Il pericolo quando si parla di pittura astratta è proprio quello di continuare a pensarla come una zona autonoma, un segmento dell’arte.
Si rischia in questo modo di porla in un ghetto arduo da gestire. Finora, infatti, è stato fatto così. Si sono divisi gli ambiti e la pittura astratta è stata gestita da critici, che si occupavano prevalentemente di essa, e da gallerie specializzate. Da parecchio tempo mi chiedo se tutto questo possa avere ancora senso. Se da un lato può essere un aiuto, dall’altro sicuramente si è creata una situazione imbarazzante da cui bisogna fare lo sforzo di uscire.
Che cosa significa fare astrazione oggi? Che cosa è pittura astratta? La risposta, spero, sarà fornita dai lavori degli artisti qui presenti.
Il legame fra loro è proprio l’uso di uno stesso linguaggio, talvolta in maniera antitetica. Mi vengono in mente, a questo proposito, certi lavori di Jessica Stockholder, dove la pittura è posta direttamente sugli oggetti, lontana dal concetto canonico di astrazione. Con Stockholder ci troviamo di fronte a un uso della pittura nel senso più puro del termine. Il risultato è un grande insieme, per certi versi virtuale, dove nulla inizia e nulla finisce.
Si tratta di una sorta di pragmatizzazione di un concetto in cui il supporto, la superficie, la pittura, l’oggetto-dipinto si fondono in un’unica installazione.
Nell’articolo menzionato scrivevo a proposito del censimento operato: «Mi pare che alcuni dei lavori che qui vado a proporre siano di sicuro interesse, altri meno, alcuni innovativi, altri nemmeno un po’.
Quella che qui propongo non è una scelta, è un panorama. Questo è un primo approccio, la proposta, l’esame.
Sento sempre più l’esigenza di un dibattito a questo proposito. Troppo spesso si parla di pittura in altro senso, il figurativo, il genere, il non-genere».
Questa è la seconda puntata in cui si opera, invece, una scelta³.
La storia dell’astrazione in Italia è lunga ormai un secolo, anzi c’è addirittura chi sostiene che il primo dipinto astratto sia di un italiano, Arnaldo Ginna, intorno al 1909. Ma questo non è il luogo per ripercorrerne la storia. L’importante è coglierne la tradizione.
Cosa significa? Mancanza di figura. La mostra Astrazione ridefinita operazione meritoria e fondamentale curata da Demetrio Paparoni all’inizio degli anni Novanta, ha già provato che la risposta non è questa.
Astrazione è un pensiero che non può essere ridotto all’aniconicità del dipinto. Sarebbe semplicistico.
Anzi nei lavori di numerosi artisti la presenza di forme, segni, richiami a immagini di diverso tipo è portante nell’economia di un lavoro che può essere definito astratto.
[…]
La ricerca di Rizzo indaga sul senso del fare pittura oggi. Il colore penetra nel legno, la tavola, che costituisce la superficie, e si sofferma attorno alle diverse forme all’interno del quadro. I suoi sono lavori di grande pregnanza fisica fortemente strutturati in cui il colore diviso in due zone, una monocroma, il fondo, una più colorata, il nucleo, sono in equilibrio tra loro.
In una tensione continua fra la relatività dello spazio del dipinto e lo spazio assoluto della pittura. Un quadro nel quadro, riflessione metalinguistica di grande coerenza. Nella parte interna del dipinto è una sorta di cancellazione della memoria di una precedente pittura attraverso la spatola.
L’esito finale è come un palinsesto collocato all’interno della cornice che potrebbe essere letta, in antitesi con la parte centrale, come un’antipittura.
Nel lavoro di Rizzo c’è sempre stato un dualismo fra una componente fisica, emozionale e una parte mentale, fredda di riflessione sul fare pittura.
Proprio in tal senso è da leggersi la costruzione di una maschera tramite del nastro adesivo in cui si opera liberamente una scelta di tipo pittorico. Il nucleo del dipinto, appunto.
Interessante è anche la scelta di separare le diverse superfici pittoriche in due, ma anche in quattro parti come in Deposizione.
Si tratta di una definizione del limite pittorico, percettivo e non solo.
Il margine, il taglio, la separazione dove un punto di riferimento obbligato è sicuramente la ricerca di Lucio Fontana, ma anche la grande lezione della storia dell’arte, primo fra tutti del francese David.
È il quadro a parlare. «Il mio quadro è esattamente ciò che si vede», così Robert Ryman.
[…]
1. Parte di questo testo è stato pubblicato in Ipso Facto n. 11 Settembre-Dicembre 2001, pag. 105 e seguenti: A. Madesani, Apriamo la gabbia dell’astrazione. Un panorama della giovane pittura astratta italiana. Nell’articolo si parlava di circa trenta artisti astratti. In mostra sono quattordici artisti, due dei quali non erano presenti nel censimento proposto sulla rivista.
2. Si tratta dell’incipit del romanzo di Daniele Del Giudice, Nel museo di Reims, Milano, Mondadori, 1988.
3. Alcuni, invitati, non hanno potuto partecipare, altri artisti fanno già parte di situazioni consolidate, che mi pareva inopportuno presentare in questa occasione.