Antonella Micaletti, “Astrattamente”

Testo nel catalogo della mostra Astrattamente, Galleria Nuova Icona, Venezia, Marzo 1995

Chi sceglie di dipingere quadri astratti si muove in un tempo dilatato, un tempo che, rispetto a quello convenzionale, è libero da vincoli sincronici o diacronici, fedele piuttosto ad una scansione più complessa, mobile ed elastica, che giustifica la simultaneità  di un prima e un dopo, la compresenza di un momento di affermazione ed uno di negazione. Se il tempo che scandisce l’esperienza percettiva di un oggetto ripercorre sempre l’itinerario progettuale che lo sottende ed in questo modo ne sottolinea il suo stato di realtà – il tempo di fruizione della pittura astratta, invece, segnala, come in un campo magnetico, una presenza, una soglia tra due stati diversi ma egualmente reali: tra l’idea e la prassi pittorica, tra soggettivo ed oggettivo, artistico ed estetico, fra intimo e sociale.
Un’opera concettuale o neooggettuale direziona sempre la propria riflessione verso la costruzione di un oggetto e la sua fruizione induce ad un percorso temporale fatto di frammenti consequenziali – l’autore, l’opera e lo spettatore – dalla cui somma scaturisce la lettura del lavoro. L’idea del suo autore è sempre progetto e, in quanto tale, diventa presto parte integrante dell’oggetto. La componente soggettiva è funzionale alla comprensione dell’opera, ma non all’attribuzione del valore e del significato di questa. Le stesse idee di senso e di significato vengono, piuttosto, escluse dalla vita dell’opera, che è innanzitutto prodotto, oggetto. Il movimento storico dell’astrazione aveva invece assolutizzato la componente individuale – soprattutto quella inconscia, spirituale, “automatica” – e in essa aveva indicato la qualità e il senso dell’opera.
Nella giovane pittura astratta c’è oggi una consapevolezza critica e problematica che connota in modo preciso la prassi pittorica, innestando in modo più radicale all’esperienza artistica il bagaglio emotivo e percettivo e la dimensione teorica della ricerca di un artista.
Gran parte dell’arte giovane è oggi contrassegnata dalla consapevolezza di una sostanziale precarietà, che non è più relegata ad un piano separato ed aprioristico rispetto alla prassi, ma si esplicita nella stessa ricerca intorno alla forma, che perciò diventa in un certo senso un modo sempre nuovo di ribadire la problematicità del fare artistico. Ma la pittura astratta non esaurisce in questo la legittimità della sua esistenza. Nei quadri astratti la forma non è mai progetto e non mira alla realizzazione di un oggetto, ma è, nello stesso tempo, corporeità dell’autore e modo di strutturarsi della pittura all’interno dello spazio del quadro. Anche nei lavori di Roberto Caracciolo, Maria Morganti, Roberto Rizzo, Toni Romanelli e Aurelio Sartorio la forma non è mai figura e le superfici dei loro quadri non possono essere identificate in cerchi righe o quadrati, eppure la pittura non è mai solo dimostrazione di un’idea, ma ricerca di un senso definito e fondante. La prassi artistica è intrisa del bagaglio psicologico, culturale e degli umori dell’autore, ribadendo l’unicità e la specificità di ogni esperienza e rendendo limitata una lettura dell’opera ridotta a “prodotto” artistico. Soggettivo ed oggettivo sono qui inscindibili e dalla loro fusione nasce la verità dello spazio di ogni nuovo quadro ed il suo valore assoluto. Il tempo di fruizione di questi quadri ripercorre la sua genesi, tra l’affermazione di un gesto e la sua negazione, l’incontro di un’idea con la materia pittorica, ma la sedimentazione non si dichiara a chi cerca un rapporto spazio-temporale oggettivo e convenzionale. Il tempo di questi quadri è quello proprio ad un pensiero di tipo ricorsivo. La pittura astratta cioè si autoriconosce e si autoidentifica nella propria genesi costitutiva e trova la sua ragione fondante nella verità dell’accadere della prassi artistica.
Lontana da pericoli citazionistici o da sterili meccanismi tautologici, la ricerca di questi cinque artisti è irriducibile ad una lettura univoca, ma appartiene ad un comune atteggiamento che vede imporre la pittura quale linguaggio della problematicità contemporanea che contrappone la sua risposta propositiva al nichilismo neoavanguardistico.