Giovanni Maria Accame, “Quando l’artista scrive”

Testo nel volume Parola d’artista – Dall’esperienza aniconica: scritti di artisti italiani 1960-2006, Edizioni Charta, Agosto 2007

In epoca contemporanea è un carattere distintivo degli artisti delle avanguardie storiche porre accanto all’innovazione delle opere dichiarazioni scritte. Sotto forma di manifesto, connaturato appunto alle avanguardie del Novecento, di trattato teorico o di riflessione personale, con più attenzione ad aspetti tecnici o a fattori ideologici, l’artista sente la necessità di aggiungere la parola alla specificità del linguaggio visivo. Boccioni e Mondrian, Kandinskij e Malevič, Klee e Magritte, solo per ricordarne alcuni, hanno tutti scritto molto, alcuni moltissimo, nonostante l’impegno ideativo e la qualità delle loro opere fosse già di altissimo livello. La scrittura di per sé non viene in soccorso a più o meno coscienti carenze espressive, ma è avvertita come un’accentuazione e un chiarimento dei propri intendimenti. Un chiarimento non solo rivolto al pubblico ma, come è evidente dalla lettura di questi testi, anche per l’artista stesso. Il lavoro teorico non consente solo un’ulteriore elaborazione delle problematiche: permette anche una proiezione che anticipa o va molto oltre a quanto poi sarà realizzato concretamente, come è immediatamente evidente leggendo Boccioni.
Per il lettore, gli scritti dell’artista sono un’ulteriore fonte di conoscenza. Il lavoro di un artista può essere compreso e apprezzato anche senza aver letto i suoi eventuali scritti. Ciò a cui immette la scrittura è in realtà un altro aspetto dell’artista e della sua opera. Certo la lettura ha una ricaduta positiva su una più compiuta cognizione delle opere, ma gli aspetti a mio parere più interessanti sono la possibilità di avvicinare l’artista tramite una via che più facilmente ne scopre lati personali e, in tutt’altra direzione, la costruzione, lo svolgimento di una visione del mondo e dei suoi rapporti formulata all’interno di quella particolare angolazione del pensiero che distingue un artista visivo.
Quando l’artista scrive, lascia filtrare aspetti della propria personalità che non sempre coincidono con l’immagine che se ne può ricavare dalle opere. L’artista ci dice, in effetti, molto più di quanto le sue parole non dicano. Queste caratteristiche sono abbastanza trasparenti e facilmente individuabili negli scritti dei protagonisti delle avanguardie e restano ancora sostanzialmente presenti fino agli anni Cinquanta. Per quanto riguarda la situazione in Italia, negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, e per circa un decennio ancora, il coinvolgimento dell’artista nella scrittura è intenso. Aspetti strettamente legati al linguaggio formale, considerazioni ideali, ideologiche o sociali si trovano collegati o accostati in un intendimento che vuole essere unitario e partecipe di un momento storico ricco di fermenti e in una prospettiva di ricostruzione di un tessuto sociale e culturale estremamente provato e lacerato dagli avvenimenti bellici e di grave scontro anche all’interno del nostro stesso paese. Le differenze rispetto al periodo delle avanguardie storiche sono in ogni modo nette. Manca, in particolare, lo slancio utopico, l’entusiasmo e la fiducia nelle potenzialità trasformatrici dell’arte, così ricorrenti nei primi decenni del secolo.
A partire dagli anni Sessanta la lettura di quanto vanno scrivendo gli artisti conferma il definitivo distacco dalle modalità delle avanguardie, ma segna anche un’ulteriore differenziazione rispetto alla generazione che ha iniziato a operare in arte nell’immediato dopoguerra o poco dopo. Restando entro i confini di questa antologia di artisti e dell’area quasi esclusivamente aniconica che distingue il loro lavoro, sono pochi i testi che affrontano l’esperienza artistica mettendola direttamente a contatto con i problemi più strettamente sociali; cercando, in qualche modo, di avviare un confronto tra la metodologia della ricerca estetica e quella della politica, facendone emergere contraddizioni e individuandone possibili alleanze. In questo senso gli scritti di Mari e Massironi rappresentano significativamente le posizioni più radicali. Per questi artisti, il loro stesso modello di comportamento doveva costituire il fondamento per una chiarezza metodologica sugli scopi della ricerca e sui suoi rapporti con il sistema economico e sociale. Altri, come Carrino e Staccioli, tendono spesso a indicare in che modo, nei contenuti del loro lavoro, siano presenti aspetti problematici, sollecitazioni a una differente visione della realtà quotidiana, situazioni aperte e anche provocatorie dove la preoccupazione di tipo sociale è nella funzione stessa dell’intervento, nella sua corretta collocazione e percezione.
Una particolare attenzione è dedicata agli aspetti metodologici, alla logica del loro sviluppo e a una stretta aderenza delle opere al metodo che le sovrintende, in un divenire che non è distratto da pressioni esterne, ma persegue i criteri di ricerca individuati, avvertiti come i più rispondenti alla propria concezione del fare arte. Su questa linea si trovano più artisti che, con accenti diversi, convergono però sostanzialmente sulla posizione accennata: Alviani, Bonalumi, Castellani e, con tratti di insolita ironia, Varisco; artisti le cui assonanze sono dovute non tanto alle singole individualità, in realtà molto distanti tra loro, ma a un’area di esperienza che ha invece diversi riferimenti storici in comune. Rigore di metodo che risulta fondamentale anche negli scritti di Barillà e De Alexandris.
Naturalmente, come sempre accade quando si cerca di suddividere gli artisti per tendenze o, come io sto facendo, in base alle caratteristiche dei loro scritti, si finisce per irrigidire alcuni aspetti, commettere delle approssimazioni e avanzare interpretazioni che possono non essere condivise. Inoltre, lo stesso artista può naturalmente sommare, nella propria scrittura, più caratteristiche, come ad esempio l’attenzione ai caratteri metodologici, che qui si trova presente in gruppi con distinzioni più rispondenti ai loro effettivi intenti.
Agli aspetti concreti del lavoro, ai rapporti tra materiali e tecniche impiegati e al loro dialogo con lo spazio, sono interessati Lorenzetti, Spagnulo, Uncini. Le possibilità della scultura di rinnovarsi e aprire a nuove dimensioni, il dialogo con l’architettura e lo spazio urbano, sono al centro dei loro scritti, pervasi anche da un comune sentimento di essenzialità del fare, legame indissolubile alla costruttività propria dell’uomo.
Riflessione, analisi introspettiva, volontà di raggiungere le componenti primarie del fare pittura hanno coinvolto un vasto numero di artisti soprattutto negli anni Settanta. Aspetti concettuali con accenti analitici o, più spesso, di cosciente appropriazione della pratica pittorica si sono affermati in un secolo che ha visto nascere e proliferare nell’arte una quantità di nuovi media comunicazionali.
Nelle pagine riportate in questa antologia si possono distinguere diversi stili di indagine: da quelli più strettamente aderenti alla realtà concreta dell’azione pittorica e ai significati che assumono le differenti declinazioni di metodo, ad altri che alternano o immettono in questa riflessione considerazioni di carattere più emotivo, personale o con riferimenti e implicazioni a una più vasta fascia di problemi. Gli artisti sono Aricò, Cotani, Gastini, Griffa, Guarneri, Morales, Olivieri, Pinelli, Pozzi, Verna.
Osservatori egualmente attenti ai significati che accompagnano l’evolversi delle possibilità in pittura e convinti assertori del loro impegno su questa esperienza oggi, sono pittori di generazioni più giovani, che inseriscono problematiche maturate a contatto con una  strutturazione della realtà sempre più mediatica, ricca di immagini e immaginari virtuali ai quali ognuno reagisce con la propria sensibilità; tra questi Asdrubali e Iacchetti, in seguito de Marco, Morganti, Rizzo, Sartorio.
Alcuni testi rivestono poi un carattere specificamente letterario, che può assumere anche accenti di volta in volta filosofici o storici e, in ogni modo, senza che l’artista esca dalla propria esperienza di lavoro: le modalità con cui utilizza le parole costruiscono una dimensione parallela che amplia o ripete diversamente quanto elaborato con le opere. Gli artisti che prediligono scrivere ponendosi in questa particolare prospettiva, rispetto al proprio lavoro, appartengono a differenti esperienze artistiche: Caracciolo, Garutti, Pardi, Saffaro, Tirelli, Valentini.
L’aspetto che più emerge da una lettura complessiva di questi scritti è che, sebbene appartenenti a un’area quasi esclusivamente aniconica, anche se non omogenea, rivelano una notevole differenza di stili, di sensibilità, in definitiva un diverso modo di sentire il lavoro e di vivere la propria condizione di artista. Su queste differenze influiscono ovviamente alcuni fattori esterni, il più importante dei quali è, per più ragioni, legato alle trasformazioni della società e della cultura nel corso degli anni: quindi la generazione cui si appartiene, l’anno in cui è stato scritto quel testo e così via. Sarebbe però riduttivo pensare a delle scritture che rispondessero solo a circostanze contingenti; infatti, come è possibile verificare confrontando le varie testimonianze, sono più spesso le differenze individuali a prevalere sugli altri motivi.
Le differenze individuali, come accade nella pratica artistica, non rimangono all’interno di storie private, ma disegnano una mappa rappresentativa delle posizioni dell’artista nel nostro tempo. Oltre a parlarci del lavoro, inevitabilmente l’artista ci comunica la sua posizione rispetto all’arte, se e come la pone in relazione ad altro, quanto il suo pensiero si sviluppi tutto internamente alla cultura artistica o quanto coinvolga altri ambiti del sapere. Direttamente o indirettamente la riflessione più intima ci indica sensibilità, aspirazioni, sofferenze, modi di essere che sono esattamente l’immagine della realtà in cui viviamo. È nella verifica delle voci individuali che si rivela il profilo più autentico di cosa sia il mondo dell’arte, rispetto a quanto il sistema dell’arte comunichi ufficialmente di se stesso.
Ho sempre prestato grande attenzione alle parole dette o scritte dagli artisti, perché non aiutano solo a ricomporre una situazione di storia e cultura – e, dunque, documenti insostituibili per uno studio approfondito – ma anche per l’insegnamento non strettamente filologico che se ne può trarre, con esiti a volte sorprendenti.
Concetti, immagini che l’artista esprime con riferimento al proprio lavoro, possono divenire delle inaspettate finestre che si aprono anche su altri problemi, suggerendo associazioni d’idee o rivelando significati nascosti.
Senza voler indicare nessun ordine di importanza, perché proprio nella diversità degli scritti risiede l’effettiva restituzione di uno stato dell’arte, nelle pagine di questo libro si alternano o si sovrappongono: il richiamo a un’attenzione dell’artista verso il significato che la società attribuisce al suo lavoro e quale sia il valore determinante che ne guida la divulgazione, la preoccupazione di un rapporto autentico tra le opere e lo spazio in cui sono situate e percepite, l’impegno verso una coerenza metodologica del lavoro e della sua comunicazione, l’autoriflessione sul fare arte che si traduce in una concezione dell’arte, il coinvolgimento di altri saperi e della stessa scrittura come sconfinamento dell’arte in esperienze da ricongiungere all’arte. Tra gli elementi in comune, in modo più esplicito o sfumato, vi è un’aspirazione all’essenzialità e all’assoluto, che è tra gli ideali ricorrenti della storia contemporanea dell’arte.
Una primarietà che non è solo formale, ma soprattutto legata a quel nucleo di fondo dal quale l’opera prende avvio e che difficilmente può essere comunicata.
Proprio questa parte incomunicabile dell’arte, che permette e apre all’interpretazione, è anche il motivo principale che induce l’artista a scrivere. Dire che con ciò voglia essere il primo interprete di se stesso non risponderebbe al vero, mentre è comprensibile il desiderio di essere tra le voci di un discorso che lo riguarda. Una voce che rappresenta il pensiero al di là del visibile, che si sporge oltre i confini dell’opera esponendo l’artista in prima persona. Ma è questa persona a essere indissolubilmente legata alle sue opere; per questo ci interessano le sue parole e i suoi scritti, perché il linguaggio è parallelo alla vita e ha lo straordinario privilegio di poter riunire in sé il vissuto e il pensato mostrandocene i lati interni, dicendo quanto né l’uno né l’altro dicono compiutamente; permettendo non solo la percezione di un’opera e la conoscenza di un artista, ma l’esperienza di una molteplicità, di un fluire del senso che eccede i singoli sensi.