Roberto Caracciolo, “Sei”
Testo nel catalogo della mostra Sei, Galleria Corraini, Mantova, Febbraio 2002
Sei sono gli artisti in mostra; sei pittori astratti di generazioni e luoghi di provenienza diversi; sei esperienze e sei atteggiamenti che convergono assieme per confrontarsi in quest’occasione uniti dall’interesse comune per il colore. Due pittrici e quattro pittori: Chung Eun Mo e Maria Morganti; Richard Gorman, Sean Shanahan, Roberto Rizzo e Roberto Caracciolo, che per quanto diversi l’uno dall’altro sono uniti dal fatto che fanno pittura – colore su superficie – credendo che si possa ancora fare, che ci siano ancora domande da fare. Sei modi di fare il proprio mestiere e di sondare l’impossibile, l’impronunciabile attraverso il gioco percettivo e sensuale dei colori su di una superficie piatta.
Un colore unico e steso nella maniera più uniforme, colore che sia colore e basta e non elaborata applicazione, se dato su di un quadro inteso come superficie quadrata o rettangolare, non può esistere da solo. Esiste in rapporto al bianco del muro e alla distanza fisica che c’è tra le due superfici – lo spessore del telaio o della tavola di legno o di qualsiasi altro supporto – e le proporzioni tra parete e misura del quadro. E questo rapporto è alterato non solo dalla luce nella stanza, ma anche e soprattutto dal colore nel quadro: il suo valore nella scala cromatica, se è brillante o tonto, se è opaco o trasparente, scuro o chiaro. Nel trovare il “posto” della superficie attraverso questi mezzi sta la scelta personale dell’individuo, ne rivela l’atteggiamento psicologico.
Non tutti i colori si comportano nello stesso modo, ci sono colori che sanno essere completamente piatti, senza alcun spessore, inversamente altri si diradano davanti ai nostri occhi come se fossero composti di due elementi, uno che ci sfugge in profondità mentre l’altro emerge verso di noi. Questi colori hanno un loro spazio, morbido e vibrante, che si inarca al centro formando due superfici: una concava ed un’altra convessa; un vuoto intangibile che crea una certa insicurezza nel guardare e ci cattura proprio perché mentre guardiamo non riusciamo a fermare lo spazio in un dato punto.
Se si lascia parte della superficie sulla quale si dipinge visibile allora il colore si deve per forza rapportare ad essa ed entrambe, unite, in forma minore al bianco della parete. Certamente sarà molto differente se la materia sulla quale si dipinge è bianca o colorata perché ciò può creare più o meno distacco dal bianco del muro, dare una sensazione di peso molto diversa. Avendo un colore pre-esistente – considerando anche il bianco della tela come tale – ed un altro aggiunto non solo avremo il disegno dei quattro bordi del quadro sulla parete ma anche e soprattutto il disegno all’interno della superficie, il contrasto di volume e di intensità tra i due. Con gli occhi non riusciamo a seguire la linea di divisione tra i due colori perché essa non esiste se non come limite del colore e perciò ci soffermiamo prima su uno e poi sull’altro, ma ciò facendo l’equilibrio di spazio tra i due colori viene ogni volta cambiato.
Due colori adiacenti dialogano tra di loro. Ed in questa “conversazione” perdono parte della propria identità, diventando ciò che l’altro ti fa sembrare per assonanza o contrasto. Due colori possono cantare assieme o stonare, esaltarsi o indebolirsi a vicenda, avere una saturazione che gli dà qualcosa in comune o appartenere a mondi diversi. In questo non tutti i colori si comportano allo stesso modo. Alcuni sono talmente forti ed aggressivi da riuscire ad imporre la propria identità sul vicino, altri a lottarci alla pari; colori ai quali è sempre facile dare un nome, che chiunque riconoscerebbe a prima vista. Altri colori invece sono fiacchi e timorosi, si nascondono accanto all’altro permettendogli di trasformarli in quel che da soli non sono; colori che diventano indefinibili ed ambigui, che sanno illudere chi guarda celando la propria identità. I primi usano la loro forza e chiarezza per emergere dalla superficie del quadro mentre i secondi si allontanano e solo la composizione può a questo punto riequilibrare i diversi pesi dei due colori creando più o meno volume.
Due colori sovrapposti hanno anch’essi un dialogo, molto più segreto e misterioso, sono accordi complessi dove non si sente la singola nota ma l’assieme. Diventano somma di passaggi che sono difficilmente ricostruibili, ogni strato però sempre, almeno in parte, presente nel colore finale. La trasparenza o l’opacità altera il rapporto tra questi strati di colore, il grado di unità dell’impatto finale. Nella sovrapposizione si creano ambiguità e suggestioni sia di colore che di luogo nello spazio, e di movimento di superficie che emerge o retrocede. Il colore diventa più difficile da identificare e cambia con la luce: la sua “temperatura” e l’angolo con il quale raggiunge la superficie, facendo sì che il quadro non sia mai veramente uguale ma in continuo cambiamento, adattandosi alla situazione del suo presente. Lo spazio può essere ambiguo perché i colori sottostanti possono contraddire quello in superficie, risucchiandolo verso l’interno quando dovrebbe emergere o spingendolo in fuori verso lo spazio esterno quando invece tenderebbe a retrocedere.
Su di un quadro con due o più colori ogni volta che spostiamo gli occhi da un colore all’altro cambia la sensazione della posizione nello spazio creando un “respiro”, dando vita ad un corpo appiattito sul piano pittorico. Se poi sulla superficie del quadro uno o più colori sono ripetuti si crea un ulteriore ritmo mentre l’occhio corre alla ricerca della certezza dell’uguale. Saltando invece da un colore all’altro, per un breve istante, tratteniamo il colore precedente impresso sulla retina sovrapponendolo a ciò che vediamo. E solo mentre svanisce questa “impressione” emerge il colore per quello che è, diventa se stesso. Ma se l’occhio è spinto a muoversi con una certa velocità da una parte all’altra del quadro, da un colore all’altro, ogni colore non sarà altro che illusione in un perenne e pulsante stato di divenire.
Sei sono gli artisti in mostra: sei pittori astratti, sei esperienze e altrettanti atteggiamenti. Uniti dal fatto che fanno pittura credendo che si possa ancora fare, che ci siano ancora domande da porre. Sei modi di fare il proprio mestiere e di sondare l’impossibile attraverso il gioco sensuale e percettivo dei colori su di una superficie piatta. Sei modi di usare i colori per esprimere dei sentimenti e trasformare pensieri e concetti complessi in qualcosa che va oltre la teoria ed il già noto, per approdare un po’ più in là, oltre l’ultima parola.