Roberto Rizzo, 2005

Testo pubblicato nel volume Parola d’artista – Dall’esperienza aniconica: scritti di artisti italiani 1960-2006, a cura di Giovanni Maria Accame, Edizioni Charta, 2007

Preferisco una bella installazione o un bel video a un brutto quadro. Intendo dire che, pur essendo un pittore e considerando la sola pittura più che sufficiente per contenere la mia indagine artistica, non considero tale linguaggio come un valore da difendere sempre, anche quando non lo merita.
In questo modo credo, infatti, di potermi confrontare anche con un’opera d’arte non pittorica, di poterla amare o criticare per ciò che è, rispettandone le peculiarità, senza giudicarla a priori per la categoria alla quale appartiene.
Non mi piace considerare la storia dell’arte come un percorso evolutivo lineare, come hanno fatto molti artisti, pittori e scultori (soprattutto nel passato), e non-pittori e non-scultori (soprattutto negli ultimi tempi).
Mi pare che la contrapposizione tra movimenti artistici differenti, o tra pittura e scultura e i nuovi media, sia stata e sia tuttora spesso superficiale e pretestuosa, se non strumentale nei vari conflitti tra fazioni artistiche.
Questa contrapposizione porta certi pittori ad assumere una posizione di retroguardia e di conservazione che a me non interessa. Così come non mi interessa una posizione “avanguardista” che liquida il passato in maniera sommaria e indistinta.
Se nel mercato dell’arte il quadro rappresenta sempre un ottimo prodotto commerciale, la scarsa o nulla presenza della pittura nel dibattito artistico degli ultimi anni ne ha causato un malinconico esilio culturale fatto spesso di emarginazione o, peggio, di indifferenza.
Per chi dipinge, questa situazione può portare ad una degnissima condizione periferica e antistorica, oppure può, in alternativa, rappresentare una formidabile possibilità di ricominciare daccapo.
La prima opzione, nel rifiuto cieco della contemporaneità, attribuisce però all’arte del passato, forse senza volerlo, un valore più che altro storico e documentario. La seconda, sicuramente più propositiva e coraggiosa, riconosce nelle esperienze che ci hanno preceduto la presenza di elementi ancora attuali nella nostra epoca, permettendo alla pittura, ancora oggi, di mettersi in gioco e di mostrare immagini mai viste prima attraverso gli strumenti di sempre.

Per me dipingere nel XXI secolo vuole dire prima di tutto considerare la pittura come uno dei mezzi artistici possibili esistenti. Poi significa analizzarne le caratteristiche, individuando le proprietà che distinguono la pittura murale o ambientale da quella su quadro, e le relazioni con l’ambiente in cui si trova da quelle che sono invece peculiari e interne alla sua autonomia.
Da qui inizia il confronto e il dialogo con la storia della pittura.
Per lasciare altra pittura a chi verrà dopo.

Milano, maggio 2005