Roberto Rizzo, “Appunti londinesi”

Testo inedito scritto in occasione della mostra Painting the Present, Barbara Behan Contemporary Art, Londra 2005

Secondo Marat e Piccolo Marat si riferiscono, come il primo della serie “Marat” del 2001, al quadro di Jacques-Louis David del 1793 “Marat assassinato” che si trova a Bruxelles. In questo famoso quadro la parte inferiore è occupata dal protagonista, quella superiore è invece riempita da uno spazio dipinto, quasi monocromo, senza alcun oggetto rappresentato riconoscibile. Le due parti, l’inferiore e la superiore, se non sono equivalenti dal punto di vista rappresentativo, lo sono nell’ambito pittorico, cioè strutturale e cromatico. La metà del quadro vuota di oggetti ma piena di solo colore dimostra che la visione “astratta” della pittura era fondamentale anche per i pittori figurativi del passato.

In Senza titolo (verde), Senza titolo (blu) e Lancia il formato del quadro è ristretto esageratamente. Non c’è, in questi lavori, l’intenzione di trasformare il quadro in oggetto da installazione ma di portarne al limite la percezione visiva. In questo modo la presenza convenzionale del quadro si relaziona in maniera esasperata con lo spazio circostante, senza però mai perdere la propria identità.

Nella Fortezza Bastiani prende il titolo dal luogo in cui si svolge il romanzo “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, del 1940. Il tempo sospeso che sembra avvolgere la forma dipinta e la sensazione di straniamento suscitata dalla visione del quadro mi ricordano il romanzo stesso.

In Oceano1 il formato del quadro orizzontale evidenzia la scelta visiva e percettiva che, pur riguardando un quadro astratto, si ricollega al tema del paesaggio nella pittura. Questo tema è espresso non attraverso la descrizione di elementi naturalistici ma dalla sua presenza strutturale e cromatica. L’approccio è ancora più radicale per la scelta dello spazio blu dell’oceano, luogo che come il deserto è privo di presenza umana.

Il rosso nelle sue diverse gradazioni domina quadri come Amore e guerra e Senza titolo (rosso), dove sentimenti estremi quali l’amore e l’odio, si manifestano attraverso questo colore che istintivamente colleghiamo alle più forti passioni umane.

In Senza titolo (verde), come in molti di questi quadri, le gradazioni di colore scelte sono il frutto di una mia personale indagine sui colori della pittura italiana e fiamminga del XVI e XVII secolo. La forma, che si trova al centro del quadro, è simile ad altre forme dipinte in miei precedenti lavori è il risultato di una continua ricerca sulle immagini primordiali, sugli archetipi, sulla loro evoluzione e persistenza nel tempo, fino alla nostra contemporaneità.

Il formato di Ombra1 e Ombra2 è vagamente antropometrico, quasi fosse uno specchio. In questi lavori il rapporto strettamente personale che si instaura tra l’osservatore e il quadro è simile al rapporto visivo e fisico che esiste tra me e la superficie dipinta durante l’esecuzione dell’opera.

Mo2, come il precedente “GiMo1”, è un omaggio alle nature morte di Giorgio Morandi, alla sua pittura straordinaria che nasce da elementi umili e quotidiani.

Il titolo di Secondo cane fantasma, così come per gli altri della serie (per il momento sono in tutto quattro), deriva dal film del 1999 “Ghost Dog” di Jim Jarmusch. Vi sono in questo film, secondo me, alcuni elementi che si possono paragonare alla pittura e alla sua pratica.
Il protagonista non si chiede se la professione che svolge sia giusta o utile perché essa rientra semplicemente nella sua natura. Per comunicare, nell’epoca dei telefoni cellulari o del computer, preferisce usare il piccione viaggiatore. Ciò avviene non perché egli rifiuti la tecnologia ma perché questo mezzo antico di comunicazione è, per le sue personali esigenze, molto più efficace. Ghost Dog attua la sua pratica quotidiana ispirandosi ai valori dell’Hagakure, un trattato del XVIII secolo sull’etica dei samurai. Egli annulla, in questo modo, le distanze di spazio e di tempo che lo separano da coloro che, pur vivendo in epoche e luoghi differenti dai suoi, esercitarono lo stesso mestiere, perseguendo gli stessi scopi e adottando la stessa disciplina.
La frattura presente all’interno del quadro, qui come in altri miei lavori, interrompe sia il mio gesto pittorico sia la percezione visiva dell’osservatore. Essa evoca un altro spazio fisico e mentale, estraneo al formato bidimensionale del quadro che però, nella visione d’insieme, è assorbito dalla superficie dell’opera, diventandone parte integrante.
Questo vuoto fisico (porzione di spazio e di tempo assente, non registrata) non vuole rappresentare un superamento del formato convenzionale del quadro, ma vuole alludere a un limite visivo, fisico e mentale, oltre il quale l’identità del quadro stesso viene mutata.
I colori albicocca/rosa/arancione utilizzati nel “Secondo cane fantasma” sono un omaggio alla pittura di Giambattista Tiepolo. I colori di questo grande pittore veneziano del XVIII secolo oltre a essere gioiosi, sensuali e luminosi, sono prima di tutto il prodotto di una straordinaria raffinatezza intellettuale e tecnica.

L’elemento centrale del Ritratto è il rapporto tra i colori rosa/carne della forma centrale ed il grigio dello sfondo che la circonda. Pensando ai ritratti di Tiziano o di altri grandi pittori del passato, dove lo sfondo scuro che avvolge le figure è spesso mescolato ad altre tonalità, ho cercato di dare a questo grigio una gradazione viola/rosa leggermente variabile durante la giornata, trasformata dalla luce che la illumina.