Roberto Rizzo, “Il mio linguaggio è la pittura”
Testo pubblicato sul catalogo della mostra Periscopio 2002, Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Milano 2002
Riconosco nella tradizione pittorica una fonte di apprendimento e di confronto inesauribile ma, allo stesso tempo, credo che per dipingere oggi si debba fare propria l’esperienza degli artisti che, nel XX secolo, hanno in maniera forte messo in discussione esteticamente e culturalmente l’identità stessa dell’arte.
Nel mio lavoro opero all’interno di regole e confini che ho scelto e che mi permettono allo stesso tempo di avere un atteggiamento critico e di distacco.
Non mi interessa andare “oltre la pittura” perché sono convinto che ogni sistema abbia i propri limiti e le proprie norme di riconoscibilità. Mi interessa piuttosto “toccare il limite” perché niente sia scontato.
La mia curiosità oscilla fra natura e cultura, fra forma e contenuto. In questo senso sono attratto dall’archetipo, non nella registrazione passiva della sua valenza simbolica codificata, piuttosto nel processo che lo porta a costituirsi.
Mi piace pensare che la pittura si possa ridefinire attraverso i suoi stessi strumenti in un’ottica nuova, aperta alle necessità e alla sensibilità di questo momento storico.
I limiti delle forme dipinte all’interno dei miei quadri sono il risultato di un freddo processo mentale. Il fondo monocromo sul quale esse galleggiano vuole essere impersonale, quasi antipittorico. Al contrario, i gesti che strutturano le forme sono la concreta testimonianza di un evento temporale ed esistenziale. Il colore è steso con la spatola e ogni passaggio piuttosto che coprire quello precedente, lo trasforma. A volte le forme sono interrotte dalla mancanza del supporto: è in quel momento che si rivela la contraddittorietà della pittura. Essa si manifesta nello spazio del quadro, idealmente assoluto ma in realtà fisicamente relativo, parte, per quanto grande, di un ambito spazialmente e culturalmente più ampio, quello del mondo che lo contiene. Per questo, nel passato, la cornice circondava il quadro: per mediare tra un luogo interno ed uno esterno. Per questo i miei quadri hanno gli angoli arrotondati: perché, pur non essendo interessato ad alcuna ricerca decorativa, è per me indispensabile individuare gli elementi di riconoscibilità del linguaggio pittorico e del significato della sua esistenza. Solo in questo modo credo che abbia un senso dipingere nel XXI secolo.