Roberto Rizzo, “Rimozione della forma del pensiero come rimozione della memoria”

Testo del 2006 pubblicato nel volume Parola d’artista – Dall’esperienza aniconica: scritti di artisti italiani 1960-2006, a cura di Giovanni Maria Accame, Edizioni Charta, 2007 e nel catalogo della mostra Dialoghi D’-Accanto, Magazzini di Palazzo Gatti, Viterbo 2009

Mi pare che in questo momento ci siano due modelli di riferimento per chi fa arte: uno, reazionario, di conservazione o di recupero dell’idea moderna di progresso, che ormai si è ridotta ad un formalismo senza idee; l’altro, scollegato con la storia dell’arte e quindi con la storia, che promuove un nomadismo delle idee senza forma, senza identità e senza memoria.
Ci sono poi alcuni artisti che mi sembra seguano un terzo percorso, nel quale cercano di riportare alla coscienza dell’arte la forma dimenticata, anzi rimossa, nel pensiero dell’arte concettuale (l’orinatoio non fu scelto da Duchamp anche per la sua forma curva e sinuosa?). Pensiero che, senza forma, ormai sempre più spesso vaga senza lasciare tracce.

L’identità del primo modello è una identità chiusa rispetto all’esterno, una posizione dogmatica e senza sbocchi, indifferente (quando le conviene) alle rivoluzioni, ai conflitti e alle tragedie del ’900.
L’identità del secondo modello è una identità aperta verso l’esterno, un’identità che ha abbandonato la forma originaria senza però assumerne più nessuna altra, preoccupata solo di comunicare. Diventando per questo una non-identità.

La terza identità è una identità chiusa e aperta contemporaneamente, un’identità che contiene dentro di sé anche ciò che è altro da sé. Questa identità riporta alla coscienza dell’arte la forma del pensiero, rimossa per frustrazione o senso di colpa. È questa una forma diversa, piena e vuota allo stesso tempo, dove il pieno e il vuoto sono in rapporto dialettico, indispensabili l’uno all’altro. È una identità che interroga la realtà nella quale si trova, trasformandola o decostruendola nelle sue forme, senza però distruggerla con risposte definitive.

Questa terza identità si può manifestare attraverso tutti i linguaggi artistici esistenti, rivelando al nostro sguardo la presenza di un’assenza: la memoria della forma rimossa.

Milano, settembre 2006